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Gli interventi su Avvenire a proposito di MMT (1)

Gli interventi sulla Modern Monetary Theory pubblicati nelle pagine di Avvenire e disponibili online sono la prima vera occasione di discussione sui media nazionali italiani della visione di politica economica portata all’attenzione dei media statunitensi nei primi giorni di quest’anno da Alexandria Ocasio-Cortez.

Tento un primissimo e parziale bilancio dei primi tre contributi pubblicati online.

Leonardo Becchetti non esprime, nonostante l’accento critico del suo pezzo, nessuna fondamentale riserva sull’impianto teorico e sulle ricette di politica economica della MMT. Egli vede la MMT come una ricetta di politica economica che sostiene la necessità che lo Stato si riappropri del “potere di stampare moneta” in modo da potere spendere tutto ciò che ritiene necessario, e ciò può coincidere con il bene comune, oppure con il disastro della svalutazione e dell’inflazione. Sollevando così una questione politica, prima ancora che di teoria economica. Il potere illimitato di spesa del governo di turno può tradursi in crescita e progresso oppure in un incubo, a seconda della qualità della spesa. A seconda cioè che la spesa dello Stato si indirizzi al risparmio energetico, alla pulizia dell’ambiente, alla messa in sicurezza dei territori sismici, eccetera, oppure elargisca prebende e garantisca rendite agli amici e collusi, o assegni compensi sproporzionati a quei dipendenti pubblici che rafforzano il bacino del proprio consenso elettorale, o fornisca servizi sociali solo a coloro di provata fede nel capo in carica.

Non posso e non intendo parlare a nome del gruppo di economisti che costituiscono il “core MMT”, ma mi pare che ciascuno di loro ben riconosca la natura politica della qualità della spesa pubblica. A Warren Mosler, ad esempio, piace spesso sintetizzare la questione così: un governo può decidere di spendere soldi per costruire il canale di Panama, e così ridurre costi e prezzi, oppure per distruggerlo, facendoli lievitare. Il governo, cioè, può spendere facendo crescere la produttività, oppure facendola diminuire. È un problema squisitamente politico, che una teoria economica non può risolvere. Né imporre limiti al disavanzo (o al debito) pubblico sembra essere in grado di arginare il problema.

Becchetti spiega che per la MMT uno spazio fiscale illimitato consentirebbe allo Stato di realizzare la piena occupazione immettendo più moneta circolante e liberandosi pericolosamente del vincolo che vuole che la spesa pubblica in disavanzo debba costare allo Stato un tasso d’interesse determinato dai mercati. A me pare, tuttavia, che gli economisti MMT evidenzino un altro fatto, largamente riconosciuto, e cioè che il tasso d’interesse sul debito pubblico dipenda già dalla banca centrale e non dai mercati, con due rilevanti eccezioni. La prima è che una politica di cambio fisso può costringere la Banca Centrale a fissare un tasso d’interesse più alto di quello che sarebbe nell’interesse dell’economia interna al solo scopo di poter conservare la stabilità del valore esterno della valuta nazionale. La seconda è che una singola regione di uno Stato (oppure uno Stato all’interno di un’unione monetaria) deve necessariamente finanziare la propria spesa in debito alle condizioni dettate dal mercato, a meno di trasferimenti dal governo centrale. Il punto della MMT non è quello di liberarsi dal vincolo degli oneri da interesse con la monetizzazione, ma semmai di liberarsi dal vincolo di un regime di cambi fissi per assicurare flessibilità alla politica economica. Riferito all’Europa (o agli Stati Uniti), quindi, non ci sarebbe nulla da cambiare, visto che euro e dollaro già fluttuano liberamente sul mercato valutario.

Francesco Gesualdi sottoscrive la tensione ideale e politica della MMT così come è stata declinata dal gruppo di democratici vicini a Sanders e Ocasio-Cortez, e cioè la necessità che lo Stato si assuma il compito di promotore della piena occupazione, dei servizi pubblici e della tutela dei beni comuni. La sua lettura è che questa funzione sia malauguratamente ostacolata dal debito e dagli oneri per interessi, come accadde con gli elevati tassi d’interesse sul debito degli anni ‘80 e ’90. Qui, tuttavia, Gesualdi non sembra cogliere il fatto che quei tassi erano appunto la conseguenza della politica di cambio fisso che costringeva la Banca d’Italia a rialzare i tassi ben al di sopra di quanto fosse giudicato coerente con l’economia interna.

Egli vede nella MMT una proposta per “scrollarsi di dosso” il fardello del debito, ma non sembra cogliere la rilevanza del fatto che per MMT il debito è quella parte del denaro speso fino ad oggi, che non è ancora stato pagato in imposte, e quindi è la componente più importante di quel denaro in circolazione che Gesualdi auspica che venga emesso nell’interesse della comunità e non di strutture private. Ed è anche il più stabile, a condizione che sia emesso dal livello più alto di governo e in regime di cambi flessibili.

Alessandra Smerilli riconosce alla MMT il merito di aver riportato al centro del dibattito il problema keynesiano per eccellenza, e cioè il problema della disoccupazione. E Smerilli parte proprio da Keynes per esprimere una riserva su MMT e cioè che non basta espandere la quantità di moneta in circolazione per assicurare la crescita. L’affermazione è più che ragionevole, ed è condivisa da MMT e da molti altri economisti che hanno sottolineato (e previsto) la scarsa efficacia del QE. Se la “quantità di moneta” che davvero conta comprende non solo la “moneta” ma anche il debito pubblico, la sostituzione di “debito” con “moneta” non può che rivelarsi sterile.

Anche da questo contributo non mi pare emergano perplessità fondamentali sull’impianto teorico e sulle ricette di politica economica della MMT. Piuttosto, Smerilli esprime una preferenza per l’iniziativa dei privati, a condizione che la loro azione sia ispirata dal bene comune, invece che dalla ricerca del profitto, e auspica che l’operato delle banche sia valutato da comitati etici interni. Richiamando la rilevanza degli animal spirits keynesiani, Smerilli sottolinea una componente di grande importanza per la politica economica, e cioè l’abilità di rafforzare e consolidare la fiducia di consumatori e imprese sulla competenza della compagine governativa nella gestione dell’economia e della cosa pubblica.

 

La vecchia teoria va rivista: Perché stampare moneta in realtà non crea inflazione (Pubblicato su Avvenire, 27 luglio 2017)

di Andrea Terzi

Quali sono le ragioni per fissare un tetto al disavanzo e al debito dello stato? Non mi riferisco qui soltanto alle ben note soglie europee (il 3% del PIL per il disavanzo o il 60% per il debito). Intendo qui proporre una riflessione sulle ragioni vere della necessità di porre un limite a ciò che lo stato spende al di là delle entrate fiscali. Una questione a mio parere di fondamentale importanza per il futuro dell’Europa e del capitalismo contemporaneo. A qualcuno la domanda sembrerà banale e la risposta scontata: oltre una certa soglia, si sa, lo stato non è in grado di rimborsare il debito. E fallisce. Stop.

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I 5 miti da sfatare sull’uscita dall’euro

A colloquio con la redazione di Risparmiamocelo!

Link al testo completo

1) Uscire dall’euro è un percorso facilmente programmabile e attuabile.

“… sarebbe una rottura traumatica col resto dell’Europa (siamo Europa anche noi!) che assomiglierebbe molto ad una secessione”

2) Depositi e prestiti bancari verranno convertiti in lire con vantaggi per tutti.

“… non c’è niente di peggio di una conversione forzosa della ricchezza finanziaria delle famiglie e delle imprese in una diversa denominazione di valore incerto”

3) Il nostro debito pubblico diminuirebbe.

“… un calo del valore del debito pubblico corrisponde ad un calo della ricchezza finanziaria di chi lo detiene. E dunque l’obiettivo stesso di tagliare il debito col ritorno alla lira è di per sé mal posto.”

4) La svalutazione competitiva darebbe slancio alla crescita.

“… sarebbe una brutta copia della strategia del governo tedesco che sembra non comprendere che la crescita trainata dalle esportazioni funziona soltanto a condizione che gli altri paesi siano disposti a far crescere il proprio debito, privato e pubblico”

5) L’euro è la causa di tutti problemi della nostra economia.

“… occorrono le riforme giuste e un corretto sostegno della politica fiscale europea. L’euro (come moneta) non ne ha colpa”