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I 5 miti da sfatare sull’uscita dall’euro

A colloquio con la redazione di Risparmiamocelo!

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1) Uscire dall’euro è un percorso facilmente programmabile e attuabile.

“… sarebbe una rottura traumatica col resto dell’Europa (siamo Europa anche noi!) che assomiglierebbe molto ad una secessione”

2) Depositi e prestiti bancari verranno convertiti in lire con vantaggi per tutti.

“… non c’è niente di peggio di una conversione forzosa della ricchezza finanziaria delle famiglie e delle imprese in una diversa denominazione di valore incerto”

3) Il nostro debito pubblico diminuirebbe.

“… un calo del valore del debito pubblico corrisponde ad un calo della ricchezza finanziaria di chi lo detiene. E dunque l’obiettivo stesso di tagliare il debito col ritorno alla lira è di per sé mal posto.”

4) La svalutazione competitiva darebbe slancio alla crescita.

“… sarebbe una brutta copia della strategia del governo tedesco che sembra non comprendere che la crescita trainata dalle esportazioni funziona soltanto a condizione che gli altri paesi siano disposti a far crescere il proprio debito, privato e pubblico”

5) L’euro è la causa di tutti problemi della nostra economia.

“… occorrono le riforme giuste e un corretto sostegno della politica fiscale europea. L’euro (come moneta) non ne ha colpa”

 

Per una politica europea della domanda e della crescita

Perché l’Italia resta agli ultimi posti in Europa per crescita economica? e cosa può fare per crescere di più?

Cercare di capire i motivi di una crescita relativamente più bassa della media europea è certamente interessante e molto utile da un punto di vista “regionale”. Ma mi pare che nel dibattito “macroeconomico” ci dimentichiamo troppo spesso che cercare una spiegazione tutta italiana alla bassa crescita è fuorviante. L’Italia, mettiamocelo in testa, è una regione dell’eurozona, e i nostri destini dipendono in primo luogo dalla performance europea.

Guardiamo i fatti. Italia e Germania sono cresciute di pari passo fino al 2006 (grafico). Il divario della crescita coincide con la Grande Recessione. Ed è una regolarità ben nota che quando un’economia nel suo insieme (come l’area euro) rallenta, i divari interni (come Italia-Germania) crescono. Dunque, la soluzione comincia da una politica europea della domanda e della crescita.

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Cosa hanno fatto altri paesi per essere riusciti a tornare a crescere più di noi?

Domandiamoci prima quanto crescono gli altri. I dati ci dicono che il Pil dell’eurozona è cresciuto del 2.5% in sette anni (2008-2015), a una media annuale di poco sopra allo zero! In questo quadro desolante, l’economia italiana si è certo dimostrata più vulnerabile della Germania. E la differenza l’ha fatta la capacità tedesca di vendere all’estero. Ma se fermiamo il nostro naso all’obiettivo di guadagnare un po’ di competitività con la Germania per esportare di più perdiamo ancora una volta di vista il quadro d’insieme. Se qualche impresa italiana riuscisse a portare via un po’ di export a qualche impresa tedesca, avremmo soltanto redistribuito (non creato) ricchezza da un territorio tedesco ad uno italiano.

Il nodo da risolvere non è solo la politica economica dell’Italia. Il problema da affrontare è quello della politica economica europea. Se la barca rischia di affondare perchè non è governata, possiamo ben cercare di capire chi si trova più vicino ai salvagenti e chi più lontano così da poter prevedere chi rischia di annegare e chi potrà salvarsi, ma sarebbe decisamente più intelligente andare a raddrizzare il timone finché siamo in tempo.

Può essere importante ottenere un po’ più flessibilità rispetto alle regole fiscali europee?

Può essere utile nel breve periodo. Ma nessuno può illudersi che la prosperità ritorni in Europa a forza di un’eccezione qui e di un’eccezione là. Non può essere una questione di noi e loro. Abbiamo bisogno di mettere in piedi una politica coordinata. L’economia europea oggi può davvero creare lavoro e crescita solo allentando i vincoli al disavanzo.

E’ un vincolo macroeconomico. Ovvero la domanda può crescere solo con un’accelerazione del debito, privato o pubblico. Ed è incomprensibile il motivo per cui l’unica politica europea in atto sia quella di far crescere la propensione al debito privato (ammesso che ci si riesca) attraverso la politica della BCE che ha abbassato i tassi d’interesse a tutta le scadenze.

Fra le cause della minor crescita italiana non c’è anche la scarsa produttività del lavoro, certificata di recente anche dai dati dell’Istat?

La produttività del lavoro è un indicatore della capacità produttiva in eccesso. Non è una causa, ed è piuttosto il riflesso della sofferenza delle piccole e medie imprese italiane che non mollano e cercano di sopravvivere in un mercato stagnante.

Il principale problema resta quello di una domanda troppo debole perché la politica fiscale è troppo restrittiva. E occorre una soluzione politica condivisa, non certo impossibile da realizzare se appena se ne riesca a comprendere l’urgenza.